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*À la guerre comme à la guerre*

di Vincenzo D’Anna*

La frase “à la guerre comme à la guerre” riprende un’espressione usata dai Francesi e divenuta poi patrimonio mondiale. Essa significa semplicemente che ogni situazione deve essere affrontata per ciò che essa è, come il caso o le circostanze richiedono. Tale espressione aderisce perfettamente alla situazione venuta a crearsi dopo l’attacco statunitense in Iran: la fotografa nella sua essenza rendendola immediatamente accessibile alla comprensione di tutti. Ha peraltro il pregio di evitarci le elucubrazioni, le dietrologie e le idiosincrasie ideologiche contro gli americani e l’uomo bizzarro ed imprevedibile che oggi li rappresenta alla Casa Bianca. Volendo citare l’ovvia considerazione che ne avrebbe fatto il buon Jacques de Chabannes, signore di Lapalisse (La Palice), noto per l’espressione “se non fosse morto sarebbe ancora vivo”, potremmo dire che è
gli americani hanno fatto quel che, lapalissianamente, andava fatto. Se infatti i raid di Israele contro gli Ayatollah avevano lo scopo di evitare preventivamente che i teocrati di Teheran si dotassero dell’arma atomica, aver completato quel lavoro e soddisfatto quel proposito, da parte degli States, ha rappresentato un atto opportuno, un gesto che può evitare lo scoppio di una più lunga e vasta guerra. Se gli Usa erano in possesso dei mezzi tecnologici e militari occorrenti per smantellare i bunker sotterranei ove gli scienziati iraniani arricchivano l’uranio, oltre il lecito, bene hanno fatto allora ad utilizzarli. Aver eliminato oppure fortemente ridimensionato quel pericolo esiziale per lo Stato ebraico e per tutte le altre nazioni occidentali, significa aver ridotto al minimo il rischio di una futura tragica escalation. Indebolire il potenziale militare iraniano e l’azione di sostegno finanziario e militare che da anni quel Paese fornisce ai gruppi terroristici (da Hamas a Hezbollah agli Uti ) attivi in quell’angolo di Medio Oriente, significa disarmare il terrore e la violenza ideologica che insanguina quelle terre. Significa anche poter dire ad Israele che la repressione, ormai brutale ed inumana, in Palestina, da parte loro, deve cessare. Perché sì: aver tolto agli Iraniani la bomba atomica ed agli Ebrei ogni concreta minaccia di soccombere, sono elementi positivi, forse gli unici in grado di convincere da una parte il governo di Benjamin Netanyahu a parlare di pace e dall’altra, l’Iran, a consentire che torni a germogliare in qualche modo il seme della ragionevolezza. Quindi, tornando a noi: “alla guerra come alla guerra” è un motto al quale bene ha fatto a piegarsi Donald Trump, perché è l’unico modo per poter far prevalere, in prospettiva, la diplomazia sulla forza delle armi ed il convincimento, per entrambi i fronti in lotta, di non essere in grado di eliminare completamente il proprio nemico per via militare. Questo stato d’animo sorge anche da da una duplice evidenza. Primo: l’alleanza di Israele con gli Americani resiste e persiste nel tempo. Alla fine Tel Aviv dovrà pur ascoltare l’alleato al quale, fino a prova contraria, deve tanto. Secondo: per i Palestinesi e gli stessi Iraniani la presenza diretta e fattiva degli Usa al fianco dello Stato ebraico cancella definitivamente ogni velleitario proposito di vittoria sulle truppe con la stella di Davide. Un’impotenza accertata perche’ il regime iraniano e’ infiltrato e corrotto fino ai gangli più impensabili ed ovunque abbiano spostato l’uranio arricchito gli israeliani e gli americani lo scoveranno ripetendo l’operazione. Certo, non mancano considerazioni anche per la vecchia Europa, apparsa lontana dal poter essere protagonista della partita che si sta disputando sullo scenario internazionale dove l’America, uscita dall’isolamento, è tornata a recitare il proprio storico ruolo di difensore dell’occidente e della democrazia. Lo sappiamo: le bombe non sono mai una buona soluzione né lo è la guerra come strumento di definizione delle controversie. Tuttavia sono peggiori “coloro i quali camminano con i piedi ben piantati sulle nuvole”, avrebbe chiosato il sarcastico Ennio Flaiano. I profeti disarmati, i pacifisti ad oltranza, i critici di parte che si affannano nella certosina ricerca del cavillo per scatenare la lotta contro il “sovranismo”, ossia la fustigazione delle democrazie occidentali e dei loro stilemi!! Questi gruppi di pressione sulla pubblica opinione occidentale, furoreggiano nel talk show televisivi affetti da un bovarismo senza freni, riscoprendosi amanti di tutto quel che non appartiene alla nostra cultura, al nostro modo di interpretare la civiltà fondata sulle carte costituzionali e sulle radici cristiane che le hanno ispirate. In sintesi siamo anche noi nel mirino. !! Ma molti preferiscono marciare per la pace, ma lo fanno a senso unico, aggrappandosi ad ogni perplessità ad ogni scetticismo, rivelandosi ben peggiori e duraturi delle bombe!! Allora ritorna alla mente la definizione che un mio professore spesso citava: “i cretini non sono quelli che non hanno idee ma quelli che credono in tutte le idee che hanno”. Ed è questo l’ordigno politico-culturale da disinnescare dalle nostre parti.

*già parlamentare