
Nicola Incampo
Un imperatore romano, centinaia di vescovi, e una fede in cerca di unità: così nacque il primo concilio della storia della Chiesa. Nel 325 dopo Cristo accadde qualcosa di straordinario: per la prima volta, tutta la Chiesa cristiana si riunì per discutere, decidere e dare una forma comune alla propria fede. Il luogo scelto fu la città di Nicea, nell’odierna Turchia, e l’evento passò alla storia come il Primo Concilio di Nicea. Ma perché convocare un’assemblea così grande, con oltre 300 vescovi provenienti da ogni angolo dell’Impero Romano? La risposta è semplice e profonda allo stesso tempo: la Chiesa era divisa su una questione fondamentale, che stava creando forti tensioni non solo tra i credenti, ma anche a livello politico.
Nel cuore del dibattito c’era una domanda che ha attraversato i secoli: Gesù Cristo è Dio? Oppure è una creatura speciale, ma comunque inferiore al Padre? A mettere in discussione la tradizionale visione cristiana fu Ario, un prete di Alessandria d’Egitto. Secondo lui, Gesù – pur essendo il Figlio di Dio – era stato creato dal Padre e quindi non poteva essere eterno o uguale a Lui. Questa teoria, chiamata arianesimo, si diffuse rapidamente e trovò sostenitori in varie regioni dell’Impero. Ma tanti altri cristiani – e soprattutto molti vescovi – vedevano in questa idea un grave pericolo per la fede. Se Gesù non è Dio in senso pieno, come può salvare l’umanità? Come può rappresentare la presenza di Dio tra gli uomini? A capire la gravità del momento fu Costantino I, imperatore romano convertitosi al Cristianesimo solo pochi anni prima. Costantino aveva bisogno di un Impero unito, e una Chiesa lacerata dalle dispute dottrinali era un problema serio. Per questo convocò a Nicea tutti i vescovi cristiani, offrendo loro ospitalità e la possibilità di discutere liberamente. L’incontro fu storico: per la prima volta, il Cristianesimo agiva come un corpo organizzato, pronto a definire la propria dottrina in modo ufficiale. Dopo lunghi dibattiti, il concilio respinse l’arianesimo e proclamò che il Figlio è “della stessa sostanza del Padre”. Significa che Gesù è pienamente Dio, eterno come il Padre, e non una creatura. Per esprimere questa verità, fu redatto un testo fondamentale: il Credo di Nicea, una professione di fede che molti cristiani recitano ancora oggi nelle celebrazioni.
Ma il Concilio non si fermò qui. Tra le altre decisioni importanti ci furono:
· la definizione di una data comune per la Pasqua, distinta da quella ebraica, per evitare che le Chiese celebrassero in giorni diversi;
· la stesura di canoni ecclesiastici, cioè regole sulla vita del clero, sui rapporti tra le varie diocesi e sulle norme morali;
· il rafforzamento dell’autorità dei vescovi e la nascita di una gerarchia ecclesiastica più strutturata.
Il Concilio di Nicea non risolse tutti i problemi – l’arianesimo continuò a diffondersi per molti anni – ma segnò un punto di svolta. Da quel momento, la Chiesa non fu più solo una comunità di credenti sparsi, ma iniziò a definirsi
come istituzione, con una dottrina chiara e una voce comune. Per Costantino, fu anche un successo politico: riuscì a presentarsi come protettore della fede e garante dell’unità imperiale. Ma per il Cristianesimo, fu soprattutto il primo passo verso una teologia condivisa, che avrebbe influenzato tutto il futuro della religione. Il Concilio di Nicea ci riguarda ancora, perché tocca questioni profonde che non smettono di affascinare: chi è Gesù? come si definisce la verità?, come si può tenere insieme fede e ragione, religione e politica? Oggi, a distanza di quasi 1700 anni, Nicea continua a parlarci. Non solo come evento storico, ma come esempio di dialogo (anche acceso!) su ciò che conta davvero.